Public History e Reenactment, connubio vincente?

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Il riferimento al volume “Manifesto per la storia” di David Armitage e Jo Guldi (1), citato in una conferenza sul Reenactment dal Prof. Duccio Balestracci dell’Università di Siena, ha aperto un ventaglio di collegamenti importanti tra le risorse accademiche e il vasto mondo della Rievocazione Storica.

Uno dei riferimenti più interessanti rispetto al settore rievocativo è quello che interessa la Public History, o meglio i Public Historian, che oltre che accademici ricercatori hanno come interesse principale quello di rendere “pubblica” la storia.

La Public History infatti, tradotta in italiano come storia pubblica o storia per il pubblico, riguarda un ampio raggio di attività che sono svolte da operatori che hanno una formazione storica e che sono generalmente esterni ad ambienti frequentati da accademici specializzati. La Public History riguarda ampi settori che fanno riferimento allo studio della storia, come ad esempio la curatela dei musei della memoria, il settore archivistico nato e cresciuto in particolare negli Stati uniti d’America circa cinquant’anni fa ma anche le dimore storiche, i siti d’interesse storico, i luoghi di antiche guerre e battaglie, la cinematografia e palinsesti televisivi.

La Public History incorporando ampi contesti diversi è quindi molto difficile da definire. Nel 1989, un programma del National Council on Public History cerca di definire alcuni elementi chiave per promuovere l’utilità della storia nel sociale, attraverso la pratica professionale. Chi si identifica come Public Historian (Storico Pubblici) fa emergere alcuni punti chiave riassumibili nell’utilità della conoscenza storica oltre agli scopi accademici, l’approfondire e sviluppare il collegamento tra la storia e il pubblico, implementare la formazione e la pratica professionale, utilizzare metodi adatti alla disciplina storica. Da decenni quindi il mondo accademico si è posto la questione del trasferimento delle informazioni pervenute dalla ricerca storica verso un pubblico più vasto e meno specializzato. Il Public Historian attraverso alcune metodologie cerca, con l’ausilio di professionalità non accademicamente specializzate, di diffondere la storia.

Abbiamo di fronte quindi un binomio naturale che ci permette di rapportare la Public History al Reenactment, la Storia Pubblica alla Rievocazione Storica.

L’argomento è stato anche trattato da Silvia Bertelli in “La comunicazione digitale per la storia” (2) con uno specifico capitolo relativo al rapporto tra le rievocazioni storiche e il ruolo del public historian

“poiché ha a che fare con il desiderio di raccontare la storia nel presente, trasformando a tutti gli effetti la storia in living history e irrompendo nella realtà di Mr. Everyman, secondo il pensiero formulato dallo storico americano Carl Becker. Sono pratiche culturali collettive radicate nel contesto territoriale, che solitamente assumono la forma di festival, sfilate in costume, gare di contrade rionali, giochi e prove d’armi, ricostruzioni di antichi mestieri e performance teatrali, che traggono ispirazione da un immaginario storico fortemente influenzato dai prodotti dell’industria culturale quali film e fiction.”

Trovandomi in disaccordo con l’ultima affermazione che denota una estrema generalizzazione sulla natura delle rievocazioni storiche in ambito territoriale, in particolare deprimendo la ricerca storica approfondita effettuata dalla grande maggioranza di esse, possiamo affermare che la Public History e i Public Historian hanno un legame molto forte, ancora poco conosciuto, con il Reenactment. In particolare la branca relativa alla Ricostruzione Storica potrebbe trarre assoluto vantaggio dal rapporto suddetto, approfondendo l’aspetto importantissimo legato al mondo accademico universitario.

L’incontro sinergico tra le due sezioni legate alla storia può essere di grande vantaggio per entrambe e ad assoluto favore dello spettacolo, della musealizzazione, della teatralità, della conservazione della memoria e della divulgazione della storia al pubblico.

L’aspirazione del Public Historian di poter essere un consulente della Rievocazione Storica (3) è un obiettivo raggiungibile in breve tempo, è necessaria una emersione in superficie della domanda e dell’offerta; da una parte lo Storico dall’altra la Rievocazione, situazione idealizzabile in una rete diffusa di collaborazioni e collegamenti, aspetto fondamentale della Rievocazione Storica del futuro.

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(1) D.Armitage, J.Guldi, Manifesto per la storia, il ruolo del passato nel mondo di oggi, Donzelli editore, Pomezia, 2016

(2) S.Bertelli, La comunicazione digitale per la storia, Digital public history, musei e luoghi di memoria, Tesi di Laurea pubblicata dal Consiglio Regionale della Regione Toscana e discussa il 27 giugno 2018 dalla Dott.ssa Silvia Bertelli nell’ambito del corso di laurea in Strategie della comunicazione pubblica e po- litica della Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze, relatore Prof. Fulvio Conti. Il Corecom della Toscana ha premiato questo lavoro il 7 dicembre 2018 come migliore tesi di laurea in comunicazione della Toscana 2018.

(3) dalla tesi di S.Bertelli – “Il public historian che intende trovare uno sbocco professionale nell’ambito dei reenactment come consulente deve avere certamente una ottima preparazione di base, ma anche competenze settoriali approfondite (costume, cucina, gestualità, cultura materiale etc.). Da un lato, il revival è sempre legato a un evento puntuale e quindi a un’epoca e un’ambientazione precisa (il matrimonio in una corte rinascimentale, un patto o statuto cittadino, una battaglia particolare etc.), dall’altro il raggio delle conoscenze che richiede è vasto: non solo la storia dell’evento in sé e le sue fonti, ma anche la contestualizzazione dell’episodio all’interno della sua lettura storiografica, il costume, cucina, la lingua, la gestualità, la cultura materiale, gli usi e le tradizioni etc” – (E. Salvadori, Il public historian e il revival: quale ruolo, in (a cura di) F. Dei e C. Di Pasquale, Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali, Pisa, PUP, 2017, p. 136.)