Mastro Adamo, il falsario di Romena

Il falsario più famoso del periodo trecentesco fiorentino è stato Maestro Adamo. Un personaggio reso famoso da Dante Alighieri nel trentesimo canto dell’inferno della Divina Commedia.
Maestro Adamo è collocato da Dante nella sua Commedia all’Inferno, nella decima bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i falsari in generale e in particolare i falsari di moneta.
Di norma, per falsificare le monete si procedeva coniandone di basso valore, dovuto ad una scarsa quantità di materiale pregiato, oro, argento, di tanto inferiore a quella prestabilita dalle autorità.
Di Mastro Adamo conosciamo, oltre all’abilità di falsificare e limare monete d’oro, l’anno della sua morte il 1281, proprio perché fu condannato alla pena capitale per il reato commesso e bruciato vivo dalla Signoria fiorentina. Era affetto dall’idropisia, una malattia deformante, che si caratterizza per la presenza di liquido nelle cavità sierose. Il suo corpo era complessivamente disorganico, la pancia era gonfia a dismisura, non si trattava di un uomo di bella presenza.
Mastro Adamo era un Casentinese di Romena, territorio controllato dai Conti Guidi, facenti parte dei Ghibellini, che lo spinsero fortemente a coniare fiorini falsi, in particolare a coniare monete con un basso contenuto di oro e argento rispetto a quello stabilito dalle autorità della Repubblica fiorentina. Quando invece limava i Fiorini d’Oro, toglieva tre dei ventiquattro carati sostituendoli con “mondigia” cioè immondizia, cioè metalli non nobili.
Alcuni storici ipotizzano che il paesino chiamato Omomorto, lungo la strada che porta in direzione del Castello di Poppi nel cucuzzolo che si erge dalla piana di Campaldino, fosse da riferirsi alla morte di Mastro Adamo.
I falsari quindi, sono coloro che coniano monete senza nessuna preventiva autorizzazione, sono coloro che producono una moneta di scarso valore che dovrebbe avvicinarsi alla moneta reale. Sono falsari coloro che copiano materiale che per legge non si può copiare. E’ un falsario anche colui che copia un’opera d’arte, anche il Fiorino lo era, ma anche colui che realizza opere con lo stile di un altro artista, spacciandole per autentiche.
Siamo quindi ora come allora di fronte ad una frode. Un argomento da sempre contemplato nella vita quotidiana di ognuno di noi.
Così nella Divina Commedia
Io vidi un, fatto a guisa di leuto,
 pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia

tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.

La grave idropesì, che sì dispaia

le membra con l’omor che mal converte,

che ’l viso non risponde a la ventraia,

facea lui tener le labbra aperte

come l’etico fa, che per la sete

l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.

«O voi che sanz’alcuna pena siete,

e non so io perché, nel mondo gramo»,

diss’elli a noi, «guardate e attendete

a la miseria del maestro Adamo:

io ebbi vivo assai di quel ch’i’ volli,

e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.

Li ruscelletti che d’i verdi colli

del Casentin discendon giuso in Arno,

faccendo i lor canali freddi e molli,

sempre mi stanno innanzi, e non indarno,

ché l’imagine lor vie più m’asciuga
che ’l male ond’io nel volto mi discarno.
Bibliografia
Dante Alighieri, Divina Commedia,
Filippo Giovannelli, Il Fiorino, AB edizioni, Firenze, 2013